Nell’imminenza dell’anniversario dei 150 anni dalla nascita del Regno d’Italia poi divenuto quella Repubblica democratica della quale oggi ci riconosciamo cittadini, mentre, com’è noto, la ricorrenza che si sta avvicinando sembra non avere ancora trovato in Italia, come pure avrebbe dovuto, strumenti adeguati e comitati davvero operativi onde realizzare una degna celebrazione che non potrà essere solamente storica, la necessità di rendere meno occasionale la circostanza ravvivata dai riti del ricordo al fine di porre in luce la partecipazione degli italiani emigrati da tutta la penisola alla costruzione di uno Stato unitario si fa abbastanza stringente. Sebbene possa a prima vista apparire paradossale e quantunque la ricerca storica e troppi studiosi, non meno d’altronde del senso comune, abbiano contribuito a generalizzare l’idea di una sostanziale e protratta estraneità degli immigrati e dei loro discendenti alle cose della sempre più lontana madrepatria, il sentimento di appartenenza nazionale maturato al di là dei confini e i riflessi che la sua pratica applicazione ebbero nel tempo, sia in forza delle migrazioni di ritorno e sia in seno alle comunità di origine italiana cresciute all’estero, furono qualcosa di molto concreto e di molto reale a cui bisognerebbe prestare, soprattutto oggi, la massima attenzione. Un’attenzione che invece è mancata nelle poche sedi qualificate in cui si sia tentato sin qui di sviluppare un discorso a tutto tondo sulla storia dello Stato nazione in Italia come s’è visto, ancora di recente in numerose occasioni fra pubblicazione di saggi e di libri e convegni scientifici. L’esclusione da tali incontri, anche magari aperti a un largo pubblico, del “mondo dell’emigrazione” che fu tra l’altro coetaneo (e secondo alcuni addirittura il prodotto) della crescita da noi di un organismo statuale e di una coesione del tutto nuova fra italiani di ogni regione, rappresenta una lacuna a mio giudizio assai grave e comunque vistosa. Per quanto personalmente mi riguarda non avevo mancato di farlo notare in varie circostanze che mi erano state offerte già nel corso del 20100 intervenendo su tale argomento quando prima all’Auditorium del Parco della Musica di Roma avevo chiuso il 10 giugno un ciclo di lezioni ideate dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, dalla Fondazione Istituto Gramsci e dall’Accademia di Santa Cecilia su “Il Risorgimento e la nascita dell’Italia contemporanea. Storie di un secolo (novembre 2009 – giugno 2010) con una relazione intitolata Tra la penisola e il mondo. Le migrazioni nella storia dell’Italia unita e poi quando nell’ambito del III Simpósio Internacional e XV Fórum de Estudos Ítalo Brasileiros avevo affrontato in pubblica conferenza, il 14 giugno successivo, all’Università di Caxias do Sul, della Produção historiográfica acerca da imigraçao italiana no Brasil. In diverse parti del mondo raggiunte dall’emigrazione italiana fra il 1861 e il 1915, e più particolarmente in Brasile, com’era stato genericamente ventilato da me nelle battute conclusive del V Seminario sull’Emigrazione italiana in Minas Gerais tenutosi a Belo Horizonte dal 26 ottobre al 1° novembre del 2009, mi era parso opportuno che si promuovessero iniziative un po’ più ambiziose ossia all’altezza della ricorrenza e possibilmente non circoscritte alla sola congiuntura, talvolta effimera, di alcune giornate celebrative sottolineando con forza
quanto segue
Linee di ricerca
a) il contributo effettivamente offerto di lontano dagli emigrati e dagli italo discendenti alla vita e al consolidamento del paese di origine:
a tale concetto si ispira la parte centrale del progetto di studio per i prossimi due anni che intende realizzare a Verona, o meglio da Verona, uno sforzo di ricostruzione e di documentazione del fenomeno ben noto che vede accrescersi più facilmente all’estero i sentimenti patriottici e l’autoidentificazione con una patria mai del tutto dimenticata. Sia sotto il profilo culturale che sotto quello economico la messa in valore e il recupero del significato che l’esodo di milioni di emigranti ebbe per lo sviluppo dell’Italia implicano una attività d’indagine applicata alle più diverse fonti disponibili. Per mandare ad effetto un simile proposito ho già avviato vari contatti con studiosi di alcuni dei principali paesi d’accoglienza della nostra emigrazione postunitaria (Francia e Stati Uniti, ma soprattutto Argentina e Brasile) al fine di sondare la disponibilità di persone e di gruppi di ricerca colà attivi su tematiche affini a collaborare con quanti operano assieme a me nel Dipartimento TeSIS per mettere meglio a fuoco la storia in concreto della presenza italiana all’estero e delle ricadute che essa ebbe su alcuni processi ed eventi chiave della nostra storia nazionale:
b)il versante economico dell’impatto (scambi commerciali, invio di rimesse, ecc.)
c)il versante diplomatico (relazioni internazionali alla luce dell’esistenza di forti nuclei di italiani emigrati per motivi di lavoro)
d)il versante culturale (lingua e scuole italiane, acquisizione di sensi
d’appartenenza nazionale all’estero, produzione artistica e letteraria)
e)le ricadute in Italia ad opera dei frequenti rimpatri (effetti delle migrazioni di ritorno, rimpatri per arruolamento, ecc.)
Sin qui ho scambiato pareri e ricevuto la disponibilità ad assecondare questo progetto da un discreto numero di colleghi da Antonio Gibelli che presiede il Comitato scientifico del Cisei (Centro internazionale di studi sull´emigrazione italiana) di Genova, di cui pure faccio parte a Matteo Sanfilippo - che dirige con me l’Archivio storico dell’emigrazione italiana ed è attualmente membro autorevole del Comitato scientifico del neonato Museo nazionale dell’emigrazione italiana in Roma – ad Angelo Trento che assieme a Chiara Vangelista è uno dei nostri massimi esperti di storia latinoamericana e di storia dell’emigrazione italiana in Brasile. E’ mia intenzione estendere questa prima rete di relazioni intavolando un dialogo e un confronto che reputo entrambi di grande importanza con studiosi di università, oltre che italiane, anche straniere in vista della pubblicazione e della internazionalizzazione dei risultati della ricerca a cui faranno da supporto ulteriori filoni d’indagine relativi all’Italia a cui pure prevedo di applicarmi sin dalla seconda metà del 2011 con lo studio dei processi di nazionalizzazione del locale fra Risorgimento e grande guerra.